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“La scuola è aperta a tutti”: dalla Costituzione a un progetto interculturale di sistema
La scuola italiana ha sperimentato tante buone pratiche. Per raccoglierle e per trarne curricoli e metodologie didattiche adeguate a "spostare il centro del mondo" sarebbe opportuno creare un Centro nazionale di documentazione e ricerca sull’Educazione Interculturale. Di Massimiliano Fiorucci.
Curricolo esplicito e curricolo nascosto
L’integrazione delle differenze e delle diversità nella scuola italiana è un importante cammino di crescita culturale e civile che, nonostante la progressiva disattenzione in termini di riconoscimento sociale e di crescente riduzione dei finanziamenti, ha prodotto documenti, leggi e provvedimenti tra i più avanzati nel mondo occidentale. Si può affermare, in altri termini, che dal punto di vista giuridico e culturale la scuola italiana, a partire dal riferimento presente nella Costituzione, rappresenta un positivo esempio di democrazia e di cittadinanza inclusiva . Si tratta cioè di una scuola che non discrimina, che non esclude e che dovrebbe essere lo strumento per garantire l’eguaglianza civica affermata dagli articoli 3 (“Tutti i cittadini hanno parità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali”) e 51 (“Tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”) della Costituzione italiana. Il problema della democrazia si pone dunque, in primo luogo, come un problema di istruzione e, infatti, l’articolo 34 della Costituzione recita “La scuola è aperta a tutti”. Si tratta evidentemente di un principio che richiede di essere attuato.
Nel solco della grande tradizione democratica e progressista della storia della scuola italiana la prospettiva interculturale intende proporre idee, strade e percorsi che gli insegnanti di ogni ordine e grado possono intraprendere mettendo a frutto la loro grande esperienza didattica . È necessario allora ripensare curricoli e metodologie didattiche per acquisire le competenze necessarie a “spostare il centro del mondo”. L’insegnamento tradizionale non sempre è riuscito a proporre il dialogo come strumento privilegiato nelle relazioni tra gli individui, favorendo di fatto una comunicazione a senso unico, mentre sarebbe più opportuno oggi fare ricorso a metodologie che consentano agli studenti di sperimentare concretamente l’attività dialogica e la pratica democratica . Una vera e propria revisione interculturale dell’educazione implica necessariamente oltre ad una revisione del curricolo esplicito anche una seria “esplorazione” del curricolo “nascosto”. Nonostante sia evidente un’obiettiva difficoltà a farne oggetto di analisi rigorosa, appare rilevante prendere in considerazione due dimensioni pedagogiche fondamentali:
- il clima scolastico , con gli atteggiamenti, i valori, le scelte degli allievi, nonché le modalità relazionali dei diversi soggetti del panorama scolastico;
- gli stili educativi degli insegnanti e le modalità con cui gestiscono le situazioni conflittuali in classe.
Il “clima” della scuola
In particolare, il clima scolastico deve essere analizzato in maniera ampia, coinvolgendo non solo i rapporti interni alla scuola, ma anche quelli esterni, relativi alle dimensioni sociali del contesto in cui si trova la scuola, o alle attività condotte in collaborazione con altre istituzioni socio-educative. Molti fattori concorrono, perciò, a modellare il clima scolastico in contesti multiculturali, come il grado della formalità delle relazioni nella scuola, la frequenza e la qualità dei contatti personali fra gli insegnanti e gli allievi e degli alunni fra di loro, lo stile di insegnamento prevalente, il ruolo e il rilievo delle attività extrascolastiche, l’apertura della scuola verso l’esterno.
Per fare un esempio, quella descritta e contenuta nel documento
La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri
rappresenta una proposta globale di ripensamento della scuola che si rivolge a tutti gli alunni, che coinvolge tutti i livelli (insegnamento, curricoli, didattica, discipline, relazioni, vita della classe) e che considera tutte le differenze (di provenienza, genere, livello sociale, storia scolastica, ecc.), evidenziando i rischi di una malintesa educazione interculturale (culturalismo, banalizzazione, folklorizzazione, omologazione, enfatizzazione delle differenze, ecc.). Questo documento, al quale hanno lavorato alcuni dei principali studiosi dei fenomeni interculturali, rappresenta
un punto di riferimento imprescindibile sul quale accordarsi per proporre un’interpretazione italiana di “educazione interculturale”
. Attuare sistematicamente le azioni in esso descritte è già un preciso programma di lavoro per i prossimi anni.
Sembra utile, inoltre, provare a indicare in forma sintetica contesti e ambiti di ricerca e di sperimentazione sui quali sarà importante lavorare con ancora maggiore determinazione nel futuro prossimo: dall’analisi dell’apporto dell’extrascuola all’educazione interculturale al ruolo dell’associazionismo (ONG, associazioni del terzo settore, associazioni di migranti, volontariato), dalla ricerca sui percorsi di integrazione all’individuazione di indicatori di integrazione chiari e condivisi , dall’analisi critica dei libri di testo della scuola italiana alla revisione dei curricoli in prospettiva interculturale, dall’educazione degli adulti immigrati alla formazione continua e professionale, dall’inserimento scolastico degli allievi di origine straniera nelle scuole secondarie superiori fino al tema cruciale delle cosiddette “seconde generazioni”, dalla dispersione scolastica ai NEET.
La proposta di un Centro sull’educazione interculturale
Sul piano più generale va osservato che, a fronte di documenti illuminati e di un periodo di effettivo interesse anche politico al tema, si assiste ormai da anni alla progressiva riduzione delle risorse disponibili nel campo della ricerca e dell’istruzione.
La questione interculturale è ormai considerata un argomento da specialisti e non chiama in causa il sistema educativo nel suo complesso che la ritiene
, quando se ne ricorda, una delle tante questioni accanto alle altre.
Nel corso degli ultimi venticinque anni, in conseguenza dei fenomeni migratori in atto, la scuola italiana si è andata invece sempre più configurando in senso multiculturale. Come risposta a tali fenomeni il Ministero dell’Istruzione sin dagli anni Novanta ha emanato circolari, formulato proposte, elaborato documenti e prodotto rapporti di ricerca. Nel frattempo sul territorio nazionale le istituzioni scolastiche, i centri di istruzione degli adulti, le associazioni e gli organismi del terzo settore hanno elaborato nel corso degli anni una pluralità di risposte e di proposte anche molto avanzate che sono però rimaste patrimonio unicamente di coloro che hanno contribuito alla loro elaborazione. Si tratta di un grave deficit di comunicazione che ha reso difficile la circolazione e la messa in rete delle esperienze.
Nella situazione odierna, con la presenza nella scuola italiana di più di 800mila allievi con cittadinanza non italiana, provenienti da circa 190 paesi , sembra necessario tentare di sistematizzare quanto si è fatto fino ad oggi nel campo dell’educazione interculturale. A tal fine sarebbe auspicabile la costituzione di un Centro nazionale di documentazione e ricerca sull’Educazione Interculturale deputato alla raccolta, alla capitalizzazione e alla diffusione delle “buone prassi” realizzate nei differenti territori. Tale centro dovrebbe configurarsi come punto centrale di “servizio” per raccogliere, sistematizzare, elaborare le esperienze e rimetterle in circolo nella rete.
Le migliori esperienze potrebbero essere raccolte, socializzate ed eventualmente trasferite , con i necessari adattamenti di contesto, anche in altre situazioni territoriali; l’istituzione di un tale centro potrebbe favorire anche il confronto con esperienze significative realizzate anche fuori dall’Italia. Il centro, dotato delle opportune risorse umane, economiche e strumentali, potrebbe anche configurarsi come luogo di promozione culturale per:
- promuovere e produrre rapporti di ricerca;
- realizzare monitoraggi, studi, ricerche e pubblicazioni sul fenomeno migratorio e sull’educazione interculturale;
- rendere disponibile e consultabile il materiale raccolto;
- organizzare e promuovere seminari, convegni, incontri di approfondimento;
- progettare e realizzare attività di formazione e ricerca;
- avviare e consolidare rapporti con altri centri di documentazione e ricerca esistenti in Italia (a livello locale), in Europa e nel mondo.