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E tu, da quale storia vieni?

Noi siamo le nostre storie, quelle che abbiamo vissuto, ascoltato, scambiato. Come possiamo sollecitare a raccontare la propria storia a scuola e fuori dalla scuola? Alcune riflessioni e proposte operative per la narrazione autobiografica con i bambini. Di Duccio Demetrio.

di Redazione GiuntiScuola07 dicembre 20159 minuti di lettura
E tu, da quale storia vieni? | Giunti Scuola

Le storie: un cibo per la mente

Uno studioso americano ritiene che ciascuno di noi, piccolo o grande, sia abitato da un “istinto narrativo” (J. Gottschall, L’istinto narrativo , 2014). Di che si tratta? Di una propensione naturale a comunicare attraverso lo scambio di storie e queste, nel corso dei millenni, recita il sottotitolo del suo bel libro, “ ci hanno reso umani ”. Anzi più umani ancora, in ogni circostanza felice o dolorosa della vita. Siano queste storie vere, inventate o utili a attirare l’ attenzione degli altri, ma anche a farci sentire meno soli. Quando infatti non abbiamo qualcuno interessato ad ascoltarci, ecco che la nostra mente corre a cercarle altrove: in un libro, al cinema, in Tv, in internet. Le storie, insomma, rappresentano un “cibo per la mente”. Quando abbiamo esaurito la scorta di quelle che si sono accumulate nella memoria, non passiamo fare a meno di andarne a cercare di nuove.
Ci consolano, dandoci coraggio, ci distraggono. La curiosità verso di esse è un alimento per l’intelligenza (perché le storie stuzzicano il piacere di conoscere, ad esempio, le vite degli altri al passato o al presente); per il nostro modo di stare insieme (perché le storie sono la materia preziosa di ogni nostro conversare, incontrarci, barattare notizie). E ancora, le storie ci fanno sentire bene, in quanto se ci piace raccontarle, ci spiegano che non veniamo mai dal nulla. Che abbiamo sempre a disposizione qualche memoria da raccontare, silenziosamente, a noi stessi; da poter scrivere e affidare al nostro diario. Una percezione, questa, che ci fa sentire i protagonisti, gli autori e qualche volta gli scrittori, di qualcosa che è soltanto nostro. Che ci appartiene in esclusiva.

In ascolto delle storie di tutti

La consapevolezza quindi che le storie vanno messe al primo posto e cercate; che rappresentano una caratteristica universale della nostra specie e di ogni cultura; che sono “irresistibili” e fonte di benessere , oltre che di infiniti apprendimenti è un inequivocabile indizio di crescita umana. L’istinto narrativo ci aiuta non poco a capire noi stessi. Purché si sia disposti a chiedersi e non una volta soltanto: ma io da quali storie provengo, quale storia sto interpretando, quali narrazioni altrui mi affascinano particolarmente?
Inoltre, è istintiva e naturale la domanda da rivolgere a chi viene da altre parti del mondo: da quali storie vieni? Che storia hai/sei? Non si dà nessuna autentica esperienza, non c’ è vera vita individuale o collettiva, se la si priva di questo impulso naturale così speciale. Un diritto, una forma di libertà: contro ogni censura, ogni imposizione a tacere. Possedere una consapevolezza pedagogica di questo tipo, significa raccogliere il desiderio di raccontare, di raccontarci, di essere raccontati da parte degli altri.
È una necessità vitale, relazionale, interculturale. Senza storie, udite o a noi richieste, ci estinguiamo pur restando in vita, soffriamo di emarginazione e isolamento. Senza storie da mettere in comune , raccogliere, proteggere, nessuna comunità avrebbe mai potuto nascere, migliorare, incontrarsi con quelle prima sconosciute.

Custodi e curatori di storie: mnemoteche a scuola e altrove

Diventare narratori e custodi delle nostre storie, di quelle di tutti, all’insegna di una sfida contro la loro dispersione, per una loro salvaguardia e diffusione, può essere il presupposto di biblioteche scolastiche e territoriali di nuovo tipo. Così come ogni città, anche il paese più minuscolo, ogni quartiere, dovrebbero dotarsi di una o più mnemoteche. Di quelle case dei ricordi destinate a raccogliere le storie delle persone più diverse di ogni origine : di chi visse, transitò, lasciò memorie significative in questi luoghi.
Storie ascoltate e poi trascritte; storie che diventano racconti autobiografici; storie che sarà bello ritrovare: rileggere, riascoltare, rivedere, anche dopo molto tempo.
Una pedagogia della memoria, oggi così importante, si fonda a partire da queste attenzioni e da queste sensibilità per la loro tutela attiva. Lontano quindi dall’intenzione di imbalsamarle e dimenticarle una seconda volta nelle teche di un museo. Devono essere le storie a dare spunti e diventare sollecitatori per attingere ad esse, mutandole in momenti di festa , spettacolo, rievocazione scenica. Offrendo ai bambini e ai ragazzi anche il compito di diventare scrivani delle storie degli adulti e degli anziani, in un rapporto con le generazioni precedenti basato anche sulla rielaborazione, musicale, storica.
Le storie hanno sempre bisogno di qualcuno che le re-immagini, per renderle più affascinanti. Senza tradirne i messaggi, in quanto il peggior tradimento che una storia possa patire è la sua banalizzazione.


Il gioco dell'Oca, da Alfabeti interculturali , a cura di G. Favaro

Gli atelier autobiografici

Ogni storia, anche la più umile è un libro potenziale.
A scuola o da qualche altra parte, esse dovrebbero essere raccolte, contando oggi anche sui mezzi digitali . Fra queste, le storie più significative dei bambini, dei ragazzi di ogni nazionalità e lingua d’ origine, degli insegnanti che li hanno aiutati a ritrovare una loro storia perduta. Lo si può fare grazie a progetti poco costosi, contando sui docenti animati dalla passione desiderosa di arricchire i programmi con una pedagogia della narrazione.
In molte scuole, soprattutto primarie, si tengono in ore scolastiche, ma non solo, degli atelier autobiografici. Questi momenti pedagogici – ce ne vorrebbero di più – nascono dalla consapevolezza dell’importanza degli scambi e incontri interculturali, del valore delle attività narrative e della memoria come bene sociale e culturale da “metter in comune”.
Il primo principio che li anima è rappresentato dal riuscire a rendere questi tempi tra scuola ed extra scuola dei laboratori di scrittura di sé. All’interno dei quali, al primo posto, si possa evidenziare il valore della scrittura/lettura come condizione adatta e insostituibile di raccoglimento, di concentrazione, di autoriflessione. L’atelier va concepito e realizzato anche come un vero e proprio antidoto nei confronti della fuga odierna dal piacere di stare da soli , dall’ affannosa dipendenza da internet.
Un secondo principio è quello di potenziare la cultura delle comunanze e non soltanto delle differenze (etniche, religiose, culturali). Ogni storia ha infatti moltissime corrispondenze di eventi, emozioni, vissuti che rendono le vicende dei piccoli e dei grandi comunicabili e fonte di reciproca emozione.
Un atelier è efficace e coinvolgente a patto che ogni stimolo a raccontarsi trovi possibilità di espressione in modalità diverse L’atelier non è infatti un contesto nel quale indurre frustrazioni nell’ incalzante consuetudine delle correzioni e delle valutazioni.

Con il gioco dell’oca, per esempio

Lo spazio /tempo dell’atelier si propone di educare all’arte del racconto di se stessi e di aiutare soprattutto i più timidi, i bambini e i ragazzi di origine straniera, i neoarrivati. Per scoprire insieme parole, ricordi, idee.
Uno spazio simile dovrebbe essere programmato non una tantum , ma dar luogo a una continuità di incontri e di sollecitatori. Il riappropriarsi dei propri ricordi può avvenire con la voce, con il corpo, con carta e matita e penna; dando molte occasioni alla poesia, al diario, alle immagini. Pensando anche al coinvolgimento, nella ricostruzione della propria storia, dei genitori e dei nonni. Anzi, i bambini possono anche diventare i loro scrivani , attirando gli adulti nella raccolta di pagine scritte del loro passato, album di famiglia, lettere.

L’immagine riportata sopra (Da. G. Favaro, a cura di, Alfabeti interculturali ), un gioco dell’Oca dei ricordi e del racconto d’infanzia, può essere uno dei tanti sollecitatori che aiutano a condividere i propri ricordi e la propria biografia bambina.
Nessuno deve essere privato della propria storia . Ognuno deve trovare lo spazio e il tempo per metterla in comune e per ascoltare le storie degli altri .

Testi di Duccio Demetrio

Raccontarsi (1996); Il gioco della vita (1998); Ricordare a scuola (2003); Didattica interculturale , con G. Favaro (2003); L'educazione non è finita (2009); Perché amiamo scrivere (2011); Narrare è educare (2012); Green autobiography (2015).

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