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L'aquila e l'erba magica
La storia creata da Ninfa Susana e Daniela Alba nell'Istituto di custodia attenuata per mamme con bambini-Casa di reclusione San Vittore. Materiali tratti dal sito del centro COME
Quella montagna era stata il suo regno esclusivo finché erano arrivati gli uomini della tribù Cabecar che pian piano avevano conquistato il monte. Avevano tagliato gli alberi per costruire le loro case e avevano cominciato a raccogliere a piene mani i frutti e a cacciare senza criterio gli animali per cibarsene o per venderli alle tribù vicine.
Da allora l’aquila era diventata molto aggressiva verso gli uomini perché voleva difendere almeno la cima della montagna dove cresceva un’erba speciale di cui lei si cibava e che poteva guarire ogni malattia, anche la peggiore.
Nessun cacciatore si avventurava per raggiungere la cima della montagna. Si diceva che l’aquila avrebbe attaccato e ucciso con il suo becco adunco chiunque fosse entrato nel campo dell’erba curativa.
Nella valle ai piedi del Monte dell’Aquila viveva una famiglia composta dalla giovane mamma Urkua, dal figlio di cinque anni Serke e dal papà Diwo: era una famiglia semplice e molto unita.
Un pomeriggio d’inverno Serke andò al fiume a giocare e, correndo vicino alla riva, scivolò nell’acqua gelata. Ci volle un po’ di tempo prima che i suoi amici riuscissero a tirarlo fuori dal fiume, così Serke si ammalò. Aveva la febbre alta, non mangiava e si indeboliva sempre di più. Nessuna cura faceva effetto. Solo l’erba curativa dell’aquila poteva salvare il bambino, ma i genitori sapevano che sarebbe stata un’impresa quasi impossibile procurarsela.
Il tempo passava e il bambino peggiorava sempre più. La mamma ogni sera piangeva e le sue lacrime formavano una collana invisibile intorno al collo.
Un giorno i due genitori si recarono dal saggio del villaggio a chiedere consiglio.
Questi vide il loro dolore e contò le lacrime che erano diventate perle. Disse all’uomo di salire sulla cima del monte e di parlare con l’aquila proponendole uno scambio. Per arrivare al suo nido doveva travestirsi: gli consigliò di cospargersi di miele e di ricoprirsi con delle piume di uccello.
Lo stratagemma funzionò e così Diwo poté avvicinare la grande aquila e parlarle. Con atteggiamento sottomesso e rispettoso le disse: “In verità, io non sono una creatura del cielo, ma un padre disperato che ha bisogno di aiuto e solo tu me lo puoi dare. Ho bisogno dell’erba curativa del tuo campo per guarire il mio bambino”.
L’aquila lo ascoltò e poi chiese:
“E tu, che cosa mi darai in cambio?”. Diwo propose lo scambio che gli aveva suggerito il saggio: “Ti prometto che il villaggio ogni anno indietreggerà di 100 passi e la mia tribù pianterà ogni anno 100 alberi nel terreno lasciato libero dalle capanne. Così la tua montagna tornerà a essere ricca di vegetazione”.
L’aquila accettò lo scambio e, commossa dall’amore che la tribù nutriva per il piccolo Serke, disse che, se gli uomini avessero mantenuto la promessa avrebbero potuto entrare nel suo campo sempre, liberamente.
Diwo tornò a casa con un mazzetto dell’erba speciale. Serke si riprese in pochi giorni e tutta la tribù decise di festeggiare l’accaduto. Le donne per l’occasione prepararono abiti e copricapi intrecciando le foglie secche delle palme e le piume del pavone reale. Con lo zucchero e il mais prepararono la dolce chicha da bere e con cocco e cannella cucinarono la michila : la torta delle grandi occasioni. Alcuni uomini andarono alla spiaggia a raccogliere grandi conchiglie, altri nel bosco per raccogliere la legna. Al calar del sole iniziò la grande festa: le donne con i loro nuovi abiti e con le labbra dipinte con le rosse bacche di achuti iniziarono a ballare intorno al fuoco mentre gli uomini battevano i tamburi e soffiavano nei lunghi flauti di bambù e nelle conchiglie.
L’aquila, ora loro amica, volteggiava nel cielo al suono della musica.
[Istituto di custodia attenuata per mamme con bambini - Casa di reclusione San Vittore, Ninfa Susana, Daniela Alba]